Festa della Mattanza, crudeltà o tradizione? Cronaca di una giornata nella Valle del Cuco.

Sono passati oramai mesi da quelle fredde giornate di Febbraio che invitano l’anima ed il corpo al calore ristoratore del camino, alla sostanza di quei cibi che profumano le vie delle piccole cittadine della Valle del Cuco e del vino, rosso, corposo, intenso, un prodotto fortemente identitario, qui dove le piantagioni di vite dominano i panorami e l’economia della regione.

Non c’è Mattanza senza vino, ed è proprio grazie ad un piccolo, piccolissimo produttore di vino Cesar Nunez Piedrahita della Bodega 41 Norte, che mi sono ritrovato in una placida giornata di Febbraio nella piccola cittadina di Curiel de Duero, nel cuore della regione Ribeira del Duero, dove si producono alcuni dei più prestigiosi e longevi vini di Spagna. Ad attrarmi di questa piccola cantina è stato un delizioso rosato di pura uva Tempranillo (da buon calabrese ne sono un estimatore, cosa che in Spagna è merce rara, di rosati ed estimatori degli stessi per inciso). Un rosato che dopo un passaggio in barrique e ben 4 mesi sui lieviti mantiene comunque una vivacità ed una mineralità da far invidia a tanti altri suoi pari, alla narice si percepisce immediatamente l’intensità fruttale tipica del tempranillo, fragola, mora, mirtillo, ed una leggera nota affumicata che non appesantisce il vino ma più che altro lo doma, lo stempera. Il nostro amico Cesar, ci ha accompagnato in una bellissima degustazione di tutta la sua produzione, vini giovani e meno giovani, prove di vasca, e piccoli capolavori in divenire, fotografia di una cantina relativamente giovane che sa raccontare centinaia d’anni di storia in una bottiglia, semplicemente interpretando al meglio i dettami enologici dei padri dei loro padri, contestualizzandoli però nelle dinamiche contemporanee senza snaturalizzare il prodotto.

41norte
Bellissimo colore questo rosato vero?
cesar
Cesar mostra orgoglioso alcune bottiglie della sua cantina.

Non si può intendere a pieno un vino se non si ha contezza del territorio e della sua cucina, nel tessuto gastronomico in cui questo prodotto nasce e si sviluppa, perciò quando mi fu consigliato di visitare la Valle del Cuco nel periodo delle festività della Mattanza pensai che forse era il momento migliore per dare un giusto omaggio e gustare a pieno questi vini così pieni naturalmente portati alla gastronomia.

Dopo poche ore di viaggio arriviamo nella piccola cittadina di Curiel de Duero, un villaggio di poche anime e tante vigne, che sorge alla base di un vecchio castello che adesso è diventato un hotel di lusso. Dopo aver parcheggiato l’auto ci dirigiamo lungo un breve sentiero pavimentato a pietra che ci porta nella piazza principale, dove il municipio si erge al culmine di una cinta di mura, le quali attraverso le sbarre di un antico cancello ci regalano il bellissimo panorama della valle.

curiel

Da queste parti il maiale adibito al sacrificio viene chiamato “Marrano”, lo stesso epiteto che una volta veniva usato per ingiuriare gli ebrei ed i musulmani recentemente convertiti al cristianesimo.

Adesso, Marrano a parte, vorrei fare qualche piccola considerazione sulla Mattanza. Spesso e anche volentieri mi sono imbattuto diverse opinioni sul senso di questa tradizione, provenienti da persone molto diverse tra loro, oserei dire diametralmente opposte, ma con un alcuni punti in comune che contrastano con il mio sistema di credenze.

La Mattanza è un retaggio barbaro o una tradizione da custodire? E’ pedagogica o diseducativa? E’ un giorno di festa o un lutto per l’umana coscienza? Insomma s’ha da fare o non s’ha da fare?

Iniziamo con le opinioni che ho raccolto da parte di chi, pur consumando carne in maniera fondamentalmente acritica, reputa lo smembramento (non l’uccisione, quella per motivi sanitari non si può più praticare nelle piazze) della bestia in pubblico come una pratica oscena e da censurare. “Non è giusto che i bambini vedano tutto quel sangue, e le frattaglie, e la povera bestia sul tavolone squartata a colpi di coltellaccio e mannaia, è diseducativo e crudele”.

Un’altra campana, quella militante vegana, reputa questa tradizione fondamentalmente un macabro rituale assimilabile a tutti gli altri assassini che l’uomo celebra nei confronti del regno animale, insomma un atto abominevole e nulla più.

Quindi questi due punti di vista convergono sulla considerazione che “spettacolarizzare” questo atto di macellazione (perché è di questo che stiamo parlando, macellare un animale) è qualcosa di profondamente sbagliato, di inumano.

Ecco, vorrei partire da quest’ultima parola: “inumano”. Sinceramente io ho dei dubbi su cosa sia “umano” e cosa al contrario non lo sia, e se la parola “umanità” abbia un’accezione negativa o positiva. Cosa distingue l’essere umano dagli altri animali? Tantissime cose, ma credo che una cosa distacchi fra le altre: l’essere umano è l’unico abitante del nostro pianeta, insieme al virus, che con le proprie azioni mette a repentaglio la propria sopravvivenza distruggendo il sistema che lo ospita. Siamo il cancro di un ecosistema apparentemente perfetto che chiamiamo natura.

Ma umanità è anche qualche altra cosa, per fortuna, è anche solidarietà, amore, empatia. Di certo qualità di cui non usufruisce il povero Marrano, eviscerato in pubblica piazza.

Però se ci fermiamo a pensare qualche momento, quanti maiali, polli, vacche, eccetera eccetera, vengono fatti a pezzi quotidianamente nelle catene di montaggio delle industrie alimentari, non Marrani protagonisti loro malgrado di una tradizione centenaria, ma numeri, semplici numeri in un registro di uccisioni che non sembra aver fine.

Uccisioni avulse da qualsiasi senso di ritualità, non sacrifici ma sacrilegi, merce pronta ad inondare i nostri supermercati, i fast food, le mense, che si accumulano scadute nelle immondizie dei vari centri di smistamento. Insomma, numeri, cifre, e merce rancida.

Ecco, io credo che la mattanza sia un momento catartico, che ci ricorda chi siamo, che ci mette davanti alla nostra dis/umanità, che ci impone di congiungere le mani e rendere grazie al Signore, all’Entità, di commettere queste atrocità per i nostri fabbisogni. Ogni Mattanza si apre con una preghiera collettiva e con un discorso pubblico di un notabile della cittadina, in cui fondamentalmente si celebra il ricordo di tempi meno prosperi, dove avere un maiale voleva dire essere ricchi e curando quel maiale, ingrassarlo, giorno dopo giorno, dava il senso a quel sacrificio. Cosa ben diversa dal gettare una confezione di plastica con dentro 3 costolette tra un messaggio di Whatsapp ed un’altro vero?

D’altra parte anche il punto di vista vegano che si riassume con un semplicistico: “No-one-is-innocent (except me)”, mette sullo stesso piano queste due immagini che ho sopracitato, una morte è una morte, punto. Ma quanto effettivamente questo approccio radicale giova al movimento ed agli animali? Io direi poco. Perché nell’onda del “tutto è uguale, tutto vale” si salta un punto importante che nell’atto del sacrilegio rituale (antico da quanto si ha memoria) si dà all’animale una dignità ancestrale “da animale”, mentre l’allevamento industriale è un semplice processo di mercificazione di un essere vivente che smette di essere una creatura di Dio per trasformarsi alla stregua di un bullone, o di una pallina da ping pong, semplicemente un bene di scambio.

Vi assicuro che se al posto del Marrano ci fosse stata una pallina di ping pong la cerimonia sarebbe andata in maniera assolutamente diversa.

Passando alla cronaca della giornata, è stata estremamente istruttiva e piacevole, l’aria era frizzante, il vino era eccellente ed abbondante, ed i volontari del luogo hanno servito soffritto di salsiccia e zuppa a tutti i partecipanti. Si suonava e si ballava in un’atmosfera gaudente, puntellata da qualche ridicolo costume medievale che appariva qua e là. Tutto questo movimento (si fa per dire) e questo vino ci avevano sviluppato un feroce appetito che ha trovato sfogo in un prelibato arrosto di “Lechazo” ovvero l’agnello da latte, che fortuna volle che ci trovassimo nel bel mezzo della settimana celebrativa di tale specialità, cotto esclusivamente a forno a legna, come da tradizione.

Riconosco che sono stato un pò prolisso con le mie considerazioni, ma d’altronde è il vero argomento del post, però per farmi perdonare ho girato un breve video che allego al post in maniera che possiate vedere con i vostri occhi ciò che dovrebbe essere mie compito raccontarvi.

Bisognerebbe premettere che le immagini possono essere un pò dure, soprattutto quelle inerenti alla macellazione del Marrano, ma d’altronde se siete contrari al consumo di carne sono sicuro che è uno spettacolo a cui non vorrete assistere, se invece la consumate ma non accettate queste immagini, credo che sia una piccola, piccolissima tassa da pagare alla vostra coscienza.

 

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